Torre dei Corsari, 14 luglio 2004 – Ore 15.00
…nel racconto di una nostra Bagnina
“Quando rientri dalla pausa pranzo di un’ora e nessun collega al lido accanto ti può dare una mano, in una giornata di maestrale che non accenna a fermarsi e con il mare che è ancora troppo mosso, è difficile pensare che andrà tutto bene.
La spiaggia, 3 km di sabbia in cui tu sei l’unica bagnina presente, anche se non dovresti, si sta riempiendo sempre di più e pensi che a fine giornata mancano ancora 4 ore e mezza! Come prima stagione da bagnina non c’è male!!
Poi è un attimo. Vedi un ragazzo che corre verso di te, bianco in volto, e pensi che sia strano, dato che siete in spiaggia a metà luglio. “Sei tu il bagnino? Ci sono delle persone che stanno affogando, corri!!!”.
Afferri il baywatch e corri, senza sapere neanche dove. Quattrocento metri di corsa, la distanza tra la tua postazione e quella secca maledetta. Da quel momento fino all’arrivo davanti a loro, più niente. Non senti il tuo respiro, ne il tuo cuore che sembra che stia per scoppiare, non vedi nessuno, solo quelli che sono in acqua: due persone che portano fuori una signora e altri che li aiutano, e più in là una ragazza che non riesce a rientrare a riva e un ragazzo, che però è nascosto tra le onde. Gli altri fuori urlano e indicano il mare. Entri in acqua, dici a chi sta uscendo di non far entrare nessuno (perché sei sicuro che nessun collega sarà presente) e vai. Prendi prima lei che è più vicina, la accompagni fino alla riva e riparti. Ti accorgi quando sei in acqua alta di non avere più il baywatch, perché l’hai lasciato a lei poco prima. Non c’è tempo. Lui, il ragazzo di prima, sta galleggiando prono, tra le onde. Nuoti finché non gli sei accanto, e quando lo giri… non dimenticherai mai il suo viso, la sua espressione, la sensazione di essere arrivata in ritardo. Vedi il suo tatuaggio. Altro ricordo indelebile.
Ti hanno addestrata per questo, sapevi che sarebbe potuto succedere, ti sei preparata, ma finché non ci si trova in una situazione del genere non si può capire.
Ora però non c’è più tempo, devi solo sbrigarti e arrivare prima possibile a riva. Nuoti, contro le onde che ti sommergono, guardando quanto manca al bagnasciuga, sempre con il pensiero del tempo che passa. Non puoi permetterti di pensare di non farcela. DEVI sbrigarti. Dopo ricorderai solo questo, e le onde. Finché i tuoi piedi non toccano la sabbia, e lì non nuoti più, ma cammini, corri. Quando hai l’acqua alle caviglie qualcuno prende lui, lo porta fuori e lo stende a terra; due persone, che dopo saprai essere due medici, iniziano la RCP al tuo posto. Tu non avresti potuto, non ti reggi neanche in piedi, cadi e urli di chiamare il 118. Poi di nuovo il vuoto.
Ricordi confusi di un tentativo di rianimazione disperato e ormai tardivo. Riconosci il signore che hai visto all’inizio aiutare quella signora, piange. Ti dice “grazie” tra le lacrime, e tu gli chiedi come sta. Hai fatto quello che dovevi, e forse neanche bene. Neanche lui dimenticherai più.
Poi di nuovo lei. Qualcuno le ha detto che il suo fidanzato sta bene, che si è ripreso, ma tu sai che non è così e non vuoi mentirle. Le dici che con lui ci sono due medici e che stanno facendo il possibile. Non hai mentito. Grida, piange, impreca. Poi arriva l’ambulanza e con loro la certezza che ormai non c’è più nulla da fare.
Quello che verrà dopo è un insieme di rabbia, senso di incapacità e inadeguatezza. E di domande: ”Se fossi arrivata prima, se li avessi visti, se mi fossi sbrigata….”.
So di aver fatto il possibile, e so che non è stata colpa mia, ma non basta. Ti spiegano che una mamma giocava con il suo bambino troppo vicino alle onde, il bimbo è scivolato e la corrente l’ha portato via. Così la mamma si è buttata e entrambi hanno avuto difficoltà a rientrare. Qualcuno si è buttato, anche quel ragazzo, Paolo. E vedendo lui in difficoltà, anche la sua fidanzata. Qualunque sia il motivo per cui è successo, ciò che conta è che non tornerà più. Credi di aver superato la cosa, il giorno dopo riprendi il tuo posto e pensi a fine turno che un altro giorno è passato… ma sempre con la paura che possa succedere ancora. Paura non per te, ma per gli altri, che a volte mettono a repentaglio anche la tua vita. E così fino a fine stagione. I suoi occhi, il suo tatuaggio, le onde, quel giorno ormai passato non li dimenticherai più.
E da domani avrai un motivo in più per sentire il peso di quell’uniforme.
Questo è il resoconto di quelle ore, scritto qualche mese dopo per non dimenticare. Inutile dire che non ce n’è stato bisogno.
Di quei due ragazzi non ho saputo più nulla di certo. Fino a dicembre dello stesso anno, quando è arrivata la notizia della consegna della medaglia d’oro. Quando mi sono trovata davanti a lei e alla famiglia di colpo è stato come essere catapultata di nuovo a quel giorno, con le stesse emozioni e sensazioni. I suoi occhi. La sua rabbia, quella c’era ancora, anche nei miei confronti. Non si ricorda che io l’ho aiutata a uscire dall’acqua, ma non importa. Di ciò che mi ha detto ricordo solo che non credeva che la mia medaglia avesse un valore, ne un senso. Così come quella data alla memoria del suo fidanzato. Non ho mai gioito apertamente per questo riconoscimento, tanto meno ne parlo in pubblico, mi imbarazza farlo, probabilmente anche per le sue parole, che sono state pesanti e dure da affrontare. E neanche queste si cancelleranno. Ci siamo scambiate i numeri di telefono con la certezza che non ci saremo mai più sentite: nessuna delle due l’ha detto, non serviva.
Non mi vergogno a dire che ho pianto dopo questa esperienza, diverse volte. E sono anche fermamente convinta che la medaglia che io ho ricevuto dovrebbe essere consegnata a tutti i bagnini che fanno questo lavoro con passione e dedizione, e che ogni giorno sfidano il mare e purtroppo molto, troppo spesso, l’ignoranza della gente. Una sola medaglia d’oro non basta, ci sono tanti colleghi che hanno avuto la stessa mia esperienza, ma non l’abbiamo mai saputo. Tanti che magari sono riusciti ad arrivare in tempo e a cui nessuno ha mai detto grazie. La mia medaglia è anche loro.
Ringrazio il Presidente Marino per la stupenda giornata ad Orvieto, bella soprattutto perché mi sono sentita in famiglia, tra persone che come me sanno cosa significa un’esperienza del genere.
Perchè, per una volta, non mi sono sentita in debito, ma orgogliosa di essere una bagnina.”
Simona