16 Luglio 2020 – Il dossier di corriere.it: riportiamo l’articolo di Alessio Ribaudo pubblicato online sul “Corriere della Sera” il 14/07/2020. 

Bimbi annegati da aprile: una strage silenziosa (che l’Oms chiede all’Italia di azzerare)

Negli ultimi tre mesi sette bimbi sono morti per annegamento. Per l’Istituto superiore di sanità è l’ottava causa di morte sotto i 20 anni e la seconda per incidente ma «sono totalmente evitabili se si applicassero semplici regole di prevenzione». Ecco i consigli

di Alessio Ribaudo leggi l’articolo su corriere.it – pubblicato il 14/07/2020 

<<L’ultimo in ordine di tempo, è stato Massimiliano di quattro anni. Doveva essere una domenica all’insegna del relax e del divertimento in un agriturismo del Ferrarese ma tutto, nel giro di pochi attimi, si è trasformato in tragedia. Un gelato al bar, poi il bimbo finisce nella piscina profonda un metro e trenta centimetri. Malgrado i tentativi di rianimarlo dei soccorritori, arrivati con l’elisoccorso, per lui non c’è stato nulla da fare. Da ieri, invece, due bambini in Liguria e uno in Lombardia riceveranno gli organi di Nicola, annegato a 21 mesi a Bra nel Cuneese. Era scivolato, martedì scorso, in una piscinetta gonfiabile da giardino, profonda una manciata di centimetri. A differenza di Massimiliano, il cuoricino di Nicola aveva ripreso a battere grazie alle manovre dei medici giunti con l’elisoccorso. Purtroppo, il cervello aveva riportato danni irreparabili e non ce l’ha fatta. I suoi genitori, con grande generosità, hanno dato l’assenso all’espianto degli organi non compromessi: le donazioni in questa fascia infantile sono molto rare e consentiranno di vivere ad altri tre bimbi che avrebbero avuto il destino segnato. Due anni e spiccioli aveva Armony, ne avrebbe compiuti tre a settembre: purtroppo è annegata nella piscina di una struttura ricettiva, trasformata parzialmente in centro di accoglienza per richiedenti asilo, che si trova a Riparbella, nel Pisano. I sanitari hanno provato di tutto per salvare la piccola, di origine nigeriana, ma ogni tentativo è stato vano. È morta sotto gli occhi atterriti di un amichetto coetaneo, anche lui di origine africana, con cui stavano giocando in giardino. A Calendasco, nel Piacentino, un bimbo di due anni che si chiamava Ezechiele, il 2 luglio è finito in acqua nella parte più profonda della piscina di casa. È stato trasportato in elisoccorso a Bergamo dove i medici hanno provato a intubarlo e rianimarlo più volte ma i danni subiti erano troppi ed è morto. Due anni in più aveva Antony ma, lo scorso 23 maggio, ha perso la vita. Secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, si trovava in casa a Giugliano con la sorella maggiorenne mentre i genitori erano fuori: finito in acqua nella piscina del suo giardino. Il trasporto all’ospedale di Pozzuoli è stato inutile. Tragedia nella tragedia, il padre di Antony appena saputa la notizia, nel tentativo di precipitarsi al pronto soccorso, è rimasto vittima di un grave incidente stradale. Il 5 aprile sembrava una domenica pomeriggio, come tante del lock down. Non lo è stata per la piccola Alejisa, di origine macedone, morta nelle acque del canale del Brentella su cui si affaccia la casa dei genitori. Stava giocando in giardino a Ciano con la sorella di circa tre anni quando è volata via per sempre.

La «strage silenziosa»
È chiamata la «strage silenziosa» perché il bambino che cade in acqua e annega spesso non riesce a gridare o a chiamare aiuto. Non sono casi isolati, anzi. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sono oltre 400 le persone che ogni anno muoiono in Italia per annegamento in piscine, mare, fiumi o laghi. Secondo gli ultimi dati disponibili Istat, sono stati esattamente 415: 337 uomini e 78 donne. La fascia con più decessi è quella fra 15 e 19 anni ma, comunque, in 108 non avevano più di 24 anni e in dieci casi si trattava di bimbi che avevano al massimo compiuto 4 anni. Le vittime sarebbero potute essere molte di più senza l’opera costante e, alle volte, eroica dei bagnini. Infatti secondo Giuseppe Marino, presidente della Società nazionale di salvamento, «ogni anno si registrano 60 mila salvataggi». La loro presenza è spesso determinate. «A esempio in piscina — conclude Marino — gli annegamenti sono silenziosi e non attraggono l’attenzione di chi nuota accanto mentre il bagnino è addestrato per capire quando sta accendo qualcosa di fatale e sa come intervenire».

Le norme
C’è anche un problema legato alla legislazione. Secondo proprio la Società nazionale di salvamento, la situazione normativa delle piscine in Italia «è complicata dal fatto che, dopo l’Accordo Stato-Regioni del 2003, circa la metà degli enti pubblici regionali non ha dato seguito con una legge, come avrebbe dovuto, mentre l’altra metà ha emesso anche più provvedimenti normativi ma non sono chiari, mal redatti, talvolta contraddittori». Poi quando succede la tragedia è la magistratura che si fa carico di stabilire le responsabilità. «Le regole che riguardano le piscine sono congegnate un po’ come il Codice della strada: se le norme sono osservate scrupolosamente, gli incidenti sono impossibili (salvo il caso fortuito). Nel caso di scontro si deve cercare poi cosa non ha funzionato e individuare chi non è stato alle regole, per addossargli la colpa».

Le modalità
Le piscine non presentano i pericoli delle correnti marine, delle ripide dei fiumi o delle acque fredde dei laghi per cui di solito le modalità di annegamento sono spesso le stesse. «C’è il bagnante che non sa nuotare e improvvisamente, senza volerlo, si trova in acqua fonda — proseguono dalla Società fondata nel 1887 — o quello che ha un malore che gli fa perdere conoscenza. Nel primo caso, spesso sono bambini che non sanno nuotare sotto i dieci anni ma anche molto piccoli, sotto i quattro anni. L’annegamento di un “non-nuotatore” avviene in un modo caratteristico: la vittima, in posizione verticale, riesce solo a muovere le braccia con un movimento simile al “volare”, come se le braccia fossero ali che, invece di sostenerlo, lo spingono sott’acqua. Questa “lotta di superficie” dura circa 20 secondi mentre in un adulto un minuto. Tempi brevissimi perché poi la vittima, sotto il pelo dell’acqua, diventa invisibile agli altri ed entro qualche minuto sarà morta».

Nel mondo
Non è solo un problema italiano. L’Organizzazoine mondiale della sanità (Oms), visti i numeri, ha studiato il fenomeno e, per la prima volta sei anni fa, ha pubblicato un lungo dossier dedicato esclusivamente al problema. Nel mondo, ogni anno, si registrano oltre 320mila annegamenti: come se sparissero per sempre tutti gli abitanti di Bari. C’è di più: più della metà delle vittime aveva meno di 25 anni. L’annegamento rappresenta la terza causa di morte sotto i 15 anni dopo la meningite e l’Hiv. In generale vale oltre il 9 per cento della mortalità globale totale ed è la terza causa principale di morte involontaria per infortunio (7% di tutti i decessi correlati a lesioni). Accade ovunque ma, spiegano gli analisti dell’Oms, «i Paesi a basso e medio reddito rappresentano oltre il 90 per cento dei decessi per annegamento involontario». Tra l’altro, da questi dati, vengono esclusi i decessi per annegamento intenzionale (suicidio o omicidio) e quelli causati da catastrofi di alluvione e incidenti nel trasporto per via d’acqua. A livello globale, i più alti tassi di annegamento sono tra i bambini sino a 4 anni, seguiti da quelli tra i 5 e i 9 anni. Negli Stati Uniti, è la seconda causa di decesso involontario in bambini di età compresa tra 1 e 14 anni; in Australia tra 1 e 3 anni e in Cina è la principale causa di morte per infortunio nei bambini di età compresa tra 1 e 14 anni.

Le caratteristiche
Sempre secondo l’Oms, i bambini che vivono vicino a fonti d’acqua aperte, come fossati, stagni, canali di irrigazione o piscine, sono molto esposti. Più in generale, «i maschi sono particolarmente a rischio di annegamento (il doppio del tasso di mortalità generale delle femmine), hanno maggiori probabilità di essere ricoverati in ospedale perché sarebbero a maggiore esposizione con l’acqua e comportamenti più rischiosi come il nuoto da solo, bere alcolici prima di nuotare da soli e andare in barca. Gli annegamenti si verificano soprattutto in spiagge con molta pendenza dei fondali, dove col mare agitato si possono formare pericolose correnti di ritorno e buche. Inoltre sarebbero fattori penalizzanti «uno status socioeconomico inferiore; la mancanza di istruzione superiore; il lasciare i bambini incustoditi o soli con un altro bambino intorno all’acqua; l’uso di alcol, vicino o in acqua; malattie come l’epilessia o non avere familiarità con i rischi e le caratteristiche idriche locali perché turisti.

La richiesta dell’Oms
I morti, specialmente dei più giovani, preoccupano l’Oms che ha chiesto a tutti i Paesi di dimezzare della metà la mortalità in generale e di azzerare quella dei bambini. L’Italia, negli ultimi 50 anni, ha ridotto di due terzi le vittime (nel 1970 erano almeno 1.200) ma sono ancora troppi. L’Iss si è posto come obiettivo quello di costruire una cultura della sicurezza in acqua creando una vera e propria strategia di prevenzione degli annegamenti basata su alcuni cardini: «Migliorare le capacità di nuoto dei bambini e dei ragazzi, garantire la sicurezza delle spiagge libere con sistemi di sorveglianza idonei, elaborare un adeguato sistema d’informazione al pubblico e un’adeguata cartellonistica per la spiaggia che richiami il dovere della sorveglianza da parte degli adulti».

I consigli per i bimbi
«I decessi per annegamento nelle piscine in età pediatrica sono casi totalmente evitabili se si applicassero semplici regole di prevenzione — spiegano gli epidemiologi Sabrina Cedri e Giuseppe Balducci del dipartimento ambiente e salute dell’Istituto superiore dei sanità e fanno entrambi parte dell’Osservatorio per una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti ed incidenti in acque di balneazione del ministero della Salute —. Bisogna sapere che un bambino può annegare anche in pochi centimetri d’acqua e sono sufficienti pochi minuti ma già dopo i primi si possono avere danni molto gravi. Spesso i genitori non si rendono conto che “una breve telefonata”, percepita come avere una durata di pochi secondi, in realtà può durare anche 5 minuti». Un bimbo può annegare anche in una piscinetta profonda pochi centimetri:«se è molto piccolo, non riesce ad alzare la testa, una volta che le vie aeree, naso e bocca, sono sommerse e quindi non occorre che “non tocchi”». Per questo motivo non si possono lasciare da soli «se nei pressi ci sono specchi di acqua o se non si è a conoscenza del territorio circostante perché sono pericolose anche solo vasche da bagno, secchi o bacinelle per non parlare di piscine, piscine gonfiabili o pozzi», proseguono. Sorvegliare significa sia mantenere un costante contatto visivo sia averli sempre a portata di mano: «se il contatto visivo viene interrotto, può cadere in una bacino d’acqua e morire mentre si sta cercando di ritrovarlo, perché un bambino che annega non fa rumore». Un consiglio fondamentale è quello di recintare le piscine. «Bisogna utilizzare quelle a quattro lati o con isolamento e cancello autochiudente e autobloccante, come indica l’Oms nelle sue linee guida — dice Balducci e Cedri — e quando non si usano più le piscine si devono coprire le piscine con appositi teli». C’è di più:«Bisogna anche recintare i giardini delle abitazioni per impedire che i bimbi escano ed esplorino l’ambiente da soli, con il rischio di scivolare in un bacino d’acqua, piccolo o grande, o nella piscina di una casa limitrofa e in alternativa o in aggiunta bisogna installare barriere a prova di bambino alle porte di casa». Prima di farli tuffare in piscina, soprattutto se hanno capigliature fluenti, bisogna fargli indossare le cuffie per evitare il rischio che i capelli si possano impigliare nei bocchettoni di areazione (che, comunque, vanno protetti con apposite grate). «Chi usa le piscinette, dopo l’uso, le deve sempre svuotare e lo stesso consiglio vale anche per le vasche da bagno, i secchi o i serbatoi e vanno anche tolti tutti i giocattoli», argomenta l’epidemiologa. A tutti i bimbi è consigliato frequentare corsi di nuoto e acquaticità. Del resto è una disciplina insegnata con metodicità sin dai tempi degli antichi Romani che sostenevano come «l’uomo che non sa né leggere né nuotare è un ignorante». «Tuttavia — concludono gli epidemiologi Balducci e Cedri — bisogna tenere presente che gli incidenti accadono anche ai bambini che sanno nuotare. La vigilanza è quindi comunque d’obbligo, anche in caso di presenza di recinzioni, o se il bambino sa nuotare». >>

di Alessio Ribaudo

Fonte e immagini: corriere.it

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